Verso i nuovi approcci alle costruzioni esistenti

 
Lucia Rosaria Mecca AssoIngegneri

Per qualunque prodotto tecnologico la valutazione della durabilità, delle prestazioni, il controllo dell’efficienza, le manutenzioni nel tempo sono una consuetudine molto diffusa. Quando invece si tratta la parte strutturale delle costruzioni sembra che la valutazione delle caratteristiche nel tempo risponda ad un approccio e ad una impostazione molto recente. Eppure, ogni progetto ben pensato dovrebbe comprendere precise strategie di controllo dell’opera nella sua fase di esercizio.

Eppure, ogni progetto ben pensato dovrebbe comprendere precise strategie di controllo dell’opera nella sua fase di esercizio. E’ vero che l’ottenimento di specifici parametri associati alle richieste prestazionali che si conservino nel tempo è legato a fattori che vanno oltre la definizione del livello di affidabilità a cui principalmente finalizzavano le Norme Tecniche del passato, ma una buona sensibilità progettuale avrebbe sempre dovuto orientare nella giusta direzione. Oggi, nelle normative tecniche di più recente emanazione, viene meglio chiarita la natura dei requisiti da soddisfare con l’adozione di specifiche previsioni progettuali, ovvero se essi sono requisiti strettamente connessi alla capacità della struttura (il cui minimo è un obbligo di norma non derogabile), o se ricadono nell’ambito più ampio delle richieste prestazionali che conseguono da esigenze tecnico-economiche, le quali sono definite di concerto tra progettista e committente. Il miglioramento delle richieste prestazionali conduce all’adozione di accorgimenti progettuali ed esecutivi che sebbene finalizzati all’incremento di affidabilità, funzionalità e durabilità dell’opera, innalzano di pari passo i livelli di capacità della struttura. Un costante controllo della struttura consente di valutare se il suo uso – qualora sottoposta alle condizioni di esposizione contenute nei limiti previsti in fase progettuale, e per i quali non è comunque consentita una inaccettabile riduzione – possa continuare nel tempo senza che questa sia interessata da significativi interventi di riparazione e manutenzione straordinaria. Vedi figura 1.

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Figura 1- CIRCOLARE ESPLICATIVA 7/2019 NTC 2018-Fig. C.2.1

Evoluzione dell’affidabilità strutturale e del periodo di vita nominale in funzione delle strategie di intervento.
Programma di manutenzione: “[…] individuare il livello prestazionale (qualitativo e quantitativo) nei successivi momenti della vita del bene, individuando la dinamica della caduta delle prestazioni aventi come estremi il valore di collaudo e quello minimo di norma […].”

Nel recente contesto normativo, nel quale si accentua l’importanza del controllo strutturale, diventa importante operare un raccordo tra i vari settori coinvolti, stabilendo in modo chiaro anche le reciproche responsabilità e gli specifici adempimenti. In tal senso il percorso avviatosi già da un ventennio richiede ancora il miglioramento di qualche definizione perché esso possa intendersi compiuto.

Gli strumenti di gestione, controllo e manutenzione delle parti strutturali dell’opera che, se adeguatamente trattata, possono garantire la permanenza dei requisiti prestazionali di progetto per il tempo della vita nominale, furono introdotti dal Piano di Manutenzione dell’Opera, con il D.M. 2008. Il provvedimento si inseriva nel percorso di modifica degli approcci al costruito che da una impostazione di tipo prescrittivo si evolvevano verso una impostazione di tipo prestazionale. Tale evoluzione ha comportato un adattamento globale di tutta la catena delle costruzioni, fissando obiettivi prestazionali che non possono essere demandati a limitate fasi dell’opera ma devono necessariamente predisporsi in modo coordinato e multidisciplinare nell’intero ciclo ideazione-esecuzione-esercizio. Il settore che ha risposto in modo più celere alle impostazione più recenti adattando il suo circuito produttivo è il settore dei materiali da costruzione. Si tratta di un adeguamento sicuramente molto importante, ma se da un lato gran parte del requisito prestazionale dell’opera dipende dalle proprietà dei materiali di cui è composta, dall’altro non è unicamente tramite la sua composizione che può esaurirsi la richiesta di affidabilità, funzionabilità e durabilità per il tempo di durata della vita nominale. Vedi figura 2.

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Figura 2 - Forte stato di degrado delle opere strutturali in un insediamento industriale ad opera di sostanze aggressive delle pasta cementizia e dell’acciaio ( foto tratta dall’archivio MECCAINGEGNERIA.)

L’ambito, infatti, è complesso ed ampio e richiede che si modifichino anche i nostri approcci culturali al mondo delle costruzioni altrimenti il rischio è quello di concentrarsi su numerosi adempimenti di legge che, per quanto adeguati, il più delle volte possono solo dettare indirizzi e raramente sono in grado di restituire procedure completamente adattabili ad ogni contesto operativo.

I mesi trascorsi sono stati caratterizzati dal raggiungimento di importanti tappe del percorso normativo avviatosi negli ultimi anni con l’introduzione dei Piani di Manutenzione, dei Livelli di Conoscenza e dei Criteri Prestazionali delle strutture in luogo di quelli prescrittivi. Un passaggio cruciale è sicuramente costituito dal riconoscimento dei Laboratori di Prove in Sito regolamentati dalla Circolare 633/STC del Ministero Infrastrutture e Trasporti la quale stabilisce quali requisiti debbano avere i nuovi laboratori per essere abilitati alla Certificazione delle prove sul costruito.

La comunità tecnica ha vissuto questo passaggio manifestando numerose perplessità. Una parte del mondo professionale, infatti, lega alla nascita dei nuovi soggetti l’esproprio di competenze professionali. E’ evidente che ciò dipende molto da come saranno indirizzati i futuri provvedimenti a completamento dei percorsi intrapresi. L’interpretazione più corretta (in linea con le disposizioni della Circolare) dovrebbe recepire i nuovi Laboratori di prove e controlli su materiali da costruzione su strutture e costruzioni esistenti unicamente nel ruolo di strutture addette alla gestione degli strumenti di indagine applicativa che non solo devono intendersi al servizio dei professionisti e, perciò, non contrapposti ad essi, ma anche come strumenti a tutela del loro operato e della sicurezza dei sistemi edilizi ed infrastrutturali.

L’ambito, infatti, è complesso ed ampio e richiede che si modifichino anche i nostri approcci culturali al mondo delle costruzioni altrimenti il rischio è quello di concentrarsi su numerosi adempimenti di legge che, per quanto adeguati, il più delle volte possono solo dettare indirizzi e raramente sono in grado di restituire procedure completamente adattabili ad ogni contesto operativo.

I mesi trascorsi sono stati caratterizzati dal raggiungimento di importanti tappe del percorso normativo avviatosi negli ultimi anni con l’introduzione dei Piani di Manutenzione, dei Livelli di Conoscenza e dei Criteri Prestazionali delle strutture in luogo di quelli prescrittivi. Un passaggio cruciale è sicuramente costituito dal riconoscimento dei Laboratori di Prove in Sito regolamentati dalla Circolare 633/STC del Ministero Infrastrutture e Trasporti la quale stabilisce quali requisiti debbano avere i nuovi laboratori per essere abilitati alla Certificazione delle prove sul costruito.

La comunità tecnica ha vissuto questo passaggio manifestando numerose perplessità. Una parte del mondo professionale, infatti, lega alla nascita dei nuovi soggetti l’esproprio di competenze professionali. E’ evidente che ciò dipende molto da come saranno indirizzati i futuri provvedimenti a completamento dei percorsi intrapresi. L’interpretazione più corretta (in linea con le disposizioni della Circolare) dovrebbe recepire i nuovi Laboratori di prove e controlli su materiali da costruzione su strutture e costruzioni esistenti unicamente nel ruolo di strutture addette alla gestione degli strumenti di indagine applicativa che non solo devono intendersi al servizio dei professionisti e, perciò, non contrapposti ad essi, ma anche come strumenti a tutela del loro operato e della sicurezza dei sistemi edilizi ed infrastrutturali.

La diagnostica

Il settore della diagnostica strutturale vedrà sicuramente importanti sviluppi nel prossimo futuro, sia perché favoriti dalle ultime normative tecniche che hanno accentuano l’importanza della fase conoscitiva pre-intervento, sia perché – anche sotto la spinta di drammatici crolli – le strategie politico-programmatiche più recenti mirano alla riqualificazione del costruito come propulsore della ripresa economica. Ciò invoglierà sicuramente un maggior investimento nella ricerca di tecniche applicate alla diagnostica strutturale dove è fondamentale che, insieme allo sviluppo di applicazioni sempre più spinte, si definiscano anche specifici settori di competenza ingegneristica. Alcuni contenuti del dibattito tecnico alla vigilia della emanazione della Circolare che istituisce i Laboratori di Prove in Sito, scivolando in ottiche molto parziali, hanno messo in luce quanto, da un lato, sia ancora poco avvertita la complessità del settore della diagnostica e della patologia strutturale e, dall’altro, quanto sia sottovalutata la portata del potenziale lavorativo che essa può sbloccare. Andrebbe innanzitutto chiarito che i laboratori di prove in sito non possono essere equiparati ai laboratori per prove sui materiali da costruzione. La differenza più importante, che si riflette sulle loro caratteristiche più generali di organizzazione e competenze, è che mentre i primi si strutturano in un ambito nel quale le analisi si legano al “quanto” campionato, per i secondi – operando in contesti dove il risultato di prova è fortemente dipendente dal posizionamento del punto di saggio – vale il “dove” campionato. E’ evidente come, per entrambi gli ambiti, più fitto è il campionamento e più un particolare parametro di interesse sarà rappresentativo dell’oggetto di misurazione. Solo che mentre per la preparazione di prove o per il confezionamento dei campioni dei materiali da costruzione è possibile applicare un ciclo completo di procedure standardizzate, lo stesso non vale per la preparazione di punti di prova o per il confezionamento di provini ricavati da campioni prelevati in sito.

Si pensi, per semplicità, alle prove per la determinazione della resistenza dei calcestruzzi. Il confezionamento dei cubetti di calcestruzzo segue particolari procedure di norma quali:

  • modalità di prelievo;
  • caratteristiche della cubettiera;
  • modalità di stagionatura; ecc..;

finalizzate all’ottenimento di un provino standardizzato. Questo, testato in laboratorio (anche qui secondo specifiche procedure di prova), consente l’ottenimento dei valori di resistenza rappresentativi del getto. Condizione molto differente, invece, è quella che riguarda il confezionamento dei provini da prelievi in sito per i quali non è possibile filtrare l’effetto delle condizioni al contorno. In questo caso le modalità di confezionamento dell’elemento strutturale, le condizioni ambientali di stagionatura, l’influenza dei carichi nelle fasi di maturazione, l’azione di agenti degradanti, differendo per ogni singolo campione, ne condizioneranno i parametri. E’ evidente che nelle indagini in sito le procedure di prova possono regolare solo una limitata parte dell’intero ciclo di “confezionamento” iniziato, per l’appunto, con l’esecuzione dell’opera stessa. Da qui l’importanza del piano di indagine che, redatto sulla base di una prima ricognizione conoscitiva dell’opera, indica quali prove condurre e dove effettuarle. Esso viene redatto e calibrato in un ambito multidisciplinare nel quale il corretto coordinamento di tutte le fasi di studio che valutino la collocazione storica del manufatto, l’individuazione delle tipologie costruttive, le modalità di funzionamento della struttura -sia pregresse che in atto – sono il presupposto per poter condurre valide campagne di indagine.

In tale ottica è necessario regolamentare e rafforzare il rapporto di reciproca collaborazione tra le varie realtà operanti nel settore della diagnostica e dei controlli, che devono necessariamente assegnare alla figura del professionista esperto il ruolo apicale. Infatti, qualunque sia la finalità di una campagna di indagine – sia essa concepita per migliorare la conoscibilità di un manufatto esistente o per controllare la corretta messa in opera dei materiali ad uso strutturale o, semplicemente, per controllare il mantenimento di livelli prestazionali minimi – la sua validazione presuppone la redazione di un preliminare piano di indagine strumentale ad opera di tecnici con specifiche competenze strutturali.

Nel repertorio delle qualificazioni professionali la nuova figura dell’Ingegnere Esperto in Diagnostica Strutturale istituita dall’Agenzia CERT’Ing offre una interessante prospettiva per raccordare i molteplici ambiti di un settore così delicato e per molti aspetti strategico qual è il mondo della diagnostica strutturale. Evitando le contrapposizioni tra gli ambiti di competenza strutturale e soprattutto favorendo laboratori di prove in sito con specifiche peculiarità si favorirà indirettamente un maggior riconoscimento del settore dell’ingegneria strutturale che negli ultimi anni è stato fortemente penalizzato, e ciò non solo per motivi riconducibili alla contrazione del mercato del costruito.

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