Degrado del calcestruzzo quando l’informazione non è sufficiente

 
Lucia Rosaria Mecca Matteo Felitti Gerardo Antonio Leon Rivista Inarcassa

Degrado del calcestruzzo quando l’informazione non è sufficiente

Il momento attuale è caratterizzato da un buon innalzamento della soglia di attenzione relativa allo stato di conservazione delle infrastrutture in calcestruzzo. Se fino a poco tempo fa l’invecchiamento strutturale era un argomento per pochi specialisti del settore oggi le responsabilità connesse alla durabilità ricadono sull’intera catena costruttiva. Durante la fase di realizzazione dell’opera, infatti, ogni operatore deve adottare appositi provvedimenti e protocolli finalizzati a garantire il corretto invecchiamento della struttura in modo che la stessa possa durare per l’intero periodo previsto in progetto senza subire decadimenti prestazionali prima del previsto. Poiché il ciclo di vita del calcestruzzo va molto oltre la fase del confezionamento e della messa in opera in cantiere, si comprende quanto il controllo della durabilità della struttura oltre a competere alla responsabilità del progettista, del fornitore, dell’esecutore e del collaudatore, attiene – per la massima parte del tempo – al gestore dell’opera. La struttura va monitorata anche oltre la fase di collaudo, per l’intera vita in esercizio, secondo le procedure contenute nel Piano di Manutenzione della parte strutturale dell’Opera (art. 10.1 del DM 17 01 18).

L’alto prezzo pagato in termini di vite umane causato dall’inadeguatezza di un patrimonio edilizio che invecchia sempre più e spesso invecchia male, ha fatto sì che il tema del degrado strutturale diventasse argomento di dibattito nella società civile. L’acquisizione della “giusta consapevolezza” da parte di quest’ultima rappresenta il passaggio più delicato per costruire un’adeguata cultura della sicurezza strutturale. Se si considera quanta parte del patrimonio edilizio del nostro paese è di proprietà privata, si comprende l’importanza che assume la corretta sensibilizzazione del gestore privato nei riguardi delle problematiche del degrado. A tale riguardo, la comunità tecnica gioca un ruolo fondamentale. Per questo è necessario sia più attiva rispetto al passato nel favorire la giusta sensibilizzazione in tema di conservazione delle strutture. Senza il contributo di ingegneri e architetti alla divulgazione dei temi del controllo e della manutenzione degli impianti strutturali, saranno vani anche i provvedimenti introdotti e resi obbligatori dalle NTC 2008 e successivamente rafforzati dalle NTC 2018. Infatti, sia per le strutture di nuova realizzazione sia per quelle esistenti sottoposte a interventi strutturali, è ormai imposto per legge il raggiungimento di determinati requisiti prestazionali. Terminata l’esecuzione dell’opera, gli ulteriori accorgimenti atti a garantirne la corretta conservazione e, dunque, la sua giusta durabilità nel tempo, sono affidati unicamente alla manutenzione a opera del gestore. Quest’ultimo però troppo spesso è più interessato allo stato di conservazione delle finiture, esteticamente più impattanti, che alla conservazione dell’impianto strutturale le cui anomalie gli sono spesso ancora poco note.

Schematizzazione di un processo elettrochimico

Foto 1 – Schematizzazione di un processo elettrochimico

Ossidazione diffusa delle armature per effetto della carbonatazione

Foto 2 – Ossidazione “diffusa” delle armature per effetto della carbonatazione. È visibile, inoltre, lo “sfondellamento” delle pignatte.

Eppure le problematiche del degrado delle strutture in calcestruzzo armato hanno assunto un carattere di vera emergenza. L’introduzione nell’ultimo secolo di un materiale relativamente “nuovo” nelle costruzioni ha portato ad affrontare aspetti ai quali l’impiego delle tradizionali costruzioni in muratura aveva esposto molto meno la comunità tecnica. Nelle tipologie costruttive in muratura, infatti, l’invecchiamento agisce in elementi strutturali i quali – oltre a non essere concepiti per offrire alte prestazioni meccaniche – lavorano con disposizioni statiche diffuse e raramente sono condotti in una improvvisa crisi statica globale per l’effetto di degradi locali, anche quando molto avanzati. Al contrario, gli elementi strutturali in calcestruzzo armato vengono spinti verso impieghi maggiormente performanti, e sono disposti secondo schemi statici suscettibili di cinematizzazione qualora vengano interessati da un degrado capace di parzializzare una sezione.

Ossidazione localizzata di una barra di armatura

Foto 3 – Ossidazione “localizzata” di una barra di armatura per effetto dei cloruri

Le NTC 2018 avrebbero potuto essere più incisive e sicuramente c’è ancora molto da fare per diffondere una buona cultura dei controlli. Ma c’è anche da dire che se da un lato incentivi economici, leggi appropriate e ulteriori regolamenti, creando cultura, sortiscono sicuramente il loro effetto positivo, dall’altro manca un importante provvedimento come il Fascicolo del Fabbricato, mentre ci sono difficoltà nella promozione dei contenuti del Piano di Manutenzione dell’opera che da oltre un decennio è un documento previsto per legge sia per nuovi fabbricati che per quelli esistenti qualora siano oggetto di interventi strutturali.

Un aspetto molto dubbio del Piano di Manutenzione riguarda l’affidamento dell’esecuzione del controllo dell’impianto strutturale al gestore dell’opera. Se per le opere pubbliche ciò può ritenersi una scelta valida poiché gestite da enti che al loro interno hanno competenze tecniche da destinare ai controlli, rimane invece piuttosto bizzarra l’idea che il gestore privato sia sempre in grado, innanzitutto, di distinguere quali siano all’interno del manufatto gli elementi strutturali e, una volta individuati, di comprendere quando le anomalie riscontrate siano tali da richiedere l’ispezione a opera di uno specialista.

Ossidazione dei trefoli – tensocorrosione

Foto 4 – Ossidazione dei trefoli – tensocorrosione – e delle armature lente per effetto combinato: carbonatazione in presenza di cloruri

Andrebbero perciò avviate vere e proprie campagne informative diffuse che consentano una divulgazione dei temi legati alle diagnosi e alle patologie strutturali come avviene in altri settori, ad esempio in quello medico e in quello economico. E qualche volta, oltre a programmi televisivi sulla salute, non sarebbe sbagliato fare informazione sulla sicurezza dei manufatti architettonici. Questo perché i degradi che possono interessare le strutture in calcestruzzo armato sono numerosi e spesso molto insidiosi.

Attacco solfatico della pasta cementizia

Foto 5 – Attacco solfatico della pasta cementizia

Il degrado del calcestruzzo dipende in massima parte dal fenomeno elettrochimico che sta alla base del processo di ossidazione delle barre di armatura lenta e presollecitata. Quando un conduttore metallico – barra di armatura – è immerso in un mezzo poroso – calcestruzzo – si possono generare, in particolari condizioni, differenze di potenziale tra le parti del sistema. Si formano, infatti zone catodiche e zone anodiche, in corrispondenza delle quali, si genera corrosione (foto 1).
Nella foto 2 è riportato, tra gli altri, il danno dovuto all’effetto della carbonatazione del conglomerato cementizio. Quando l’anidride carbonica viene a contatto con i manufatti in calcestruzzo armato, neutralizza i componenti alcalini (l’idrossido di calcio) presenti nello stesso e il pH passa da valori superiori a 13 a valori inferiori a 9. In queste condizioni, il film protettivo, che avvolge le barre di armatura, diventa poroso e incoerente, pertanto incapace di proteggere le stesse. Successivamente l’ingresso di acqua e ossigeno provoca l’ossidazione delle armature con conseguente incremento di volume pari a circa sei volte quello originale. L’espansione volumetrica porta al danneggiamento della pasta cementizia con formazione di fessure fino all’espulsione del copriferro (spalling).

Nei calcestruzzi penetrati dall’anidride carbonica il danno alla barra è di tipo diffuso, mentre in presenza di cloruri la corrosione delle armature è di tipo generalmente localizzata (sempre che la concentrazione dei cloruri sia al di sotto dello 0,5% sul peso del cemento) (foto 3).

Fessurazioni da ritiro idraulico

Foto 6 – Fessurazioni da ritiro idraulico sulla “membrana equicompressa” del ponte sul Basento di Sergio Musmeci

Il processo che in questo caso si innesca – proprio in natura della sua concentrazione locale – è molto insidioso in quanto, diversamente dalla corrosione diffusa, avvia la catena sequenziale delle reazioni elettrochimiche in zone circoscritte spingendosi molto in profondità fino alla rottura localizzata della barra. I danni per esposizione ai cloruri, diversamente da quelli per esposizione all’anidride carbonica che mandano in sofferenza le sole armature, hanno effetti nocivi anche sulla pasta cementizia in conseguenza della reazione tra idrossido di calcio e cloruro di calcio. A soffrire di simili anomalie sono prevalentemente le infrastrutture stradali come muri, viadotti, rivestimenti di gallerie e le opere in zone marine. Nella foto 4 è riportato l’effetto del degrado all’intradosso di una trave di un viadotto montano. Si nota l’espulsione del copriferro e l’importante degrado che interessa sia le armature lente che quelle tese. Lo ione solfato attacca la pasta cementizia – vedi foto 5 – attraverso una reazione chimica molto complessa che coinvolge l’idrossido di calcio per formare il gesso, il quale reagisce, a sua volta, con gli alluminati idrati di calcio per formare la più voluminosa ettringite, oppure reagisce con i silicati idrati di calcio per dar luogo – in determinate condizioni ambientali e in presenza di anidride carbonica – alla più voluminosa e dirompente thaumasite.

È evidente come le alterazioni per esposizione ad agenti nocivi siano favorite dalle fessurazioni – le quali possono dipendere da stati tensionali generati da meccanismi di azione globale o da autotensioni di origine tecnologica come i fenomeni termici e i fenomeni di ritiro – oppure da cattiva messa in opera, o, ancora, dall’effetto meccanico dei cicli di gelo e disgelo.

Degrado per dilavamento della pasta cementizia

Foto 7 – Degrado per dilavamento della pasta cementizia

Nella foto 6 è riportato un dettaglio della membrana equicompressa del ponte sul Basento di Sergio Musmeci1. Le fessurazioni da ritiro idraulico costituiscono ingresso agli agenti degradanti della pasta cementizia e delle armature. Infatti, le infiltrazioni di acqua inquinata da cloruro di calcio – proveniente dalla sede stradale e utilizzato come sale disgelante – trasportano lo ione cloruro che, come detto in precedenza, crea le condizioni elettrochimiche per la corrosione delle barre di armatura e, inoltre, il degrado della pasta cementizia attraverso la formazione dell‘ossicloruro di calcio idrato.

L’esposizione agli agenti atmosferici inoltre è anche causa del dilavamento della calce libera. Il calcestruzzo cosi impoverito si danneggia in modo importante e facilita l’esposizione delle barre privandole della originaria protezione.


1. Il ponte venne realizzato tra il 1971 e il 1976, concretizzando le teorie sul minimo strutturale del progettista, secondo cui bisognava arrivare a delineare con una formula matematica una sola soluzione di natura statica per avere la certezza di aver realizzato il “minimo strutturale”. Ad oggi è considerata un’opera d’arte nel panorama dell’ingegneria mondiale anche se in avanzato stato di degrado per mancata manutenzione.

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