Degrado del calcestruzzo e gestione del monitoraggio di un’infrastruttura

 
Sara Frumento Teknoring

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Lucia Rosaria Mecca in campagna di indagine su viadotto

Il Ponte Genova San Giorgio è operativo: un’opera estremamente lineare e costruita in tempi che aprono a procedure europee più snelle. Una linearità che contrasta con l’opera avveniristica dell’ingegnere Morandi. Sicuramente si tratta di un approccio ingegneristico differente, improntato sulle prestazioni dell’opera ma soprattutto sul controllo e monitoraggio di un’infrastruttura a partire dalle fasi di demolizione e di costruzione . Il viadotto autostradale è di fatto già un’opera esistente che vive già una sua storia di carico e di deformazioni, differenti da quelle che saranno in esercizio. Ma sostanzialmente è già sotto controllo. È questa, forse, un’altra peculiarità del ponte di Genova. Il monitoraggio è partito con l’opera stessa, consentendo di stabilire dal principio, un punto zero, con cui confrontarsi negli anni a venire. Il grande problema di quando ci si confronta con l’esistente è la mancanza del punto zero. Molto spesso infatti il controllo parte quando la struttura manifesta, attraverso i suoi elementi, non necessariamente strutturali, delle sofferenze.

Parliamo di monitoraggio e diagnosi con l’ingegnere Lucia Rosaria Mecca.

Nelle linee guida dei ponti esistenti il capitolo 7 “Sistema di sorveglianza e monitoraggio” corrisponde ad un tema molto attinente alla sua attività. Come si può monitorare il degrado di un ponte in c.a. in funzione dell’elemento costituente?

Il monitoraggio strutturale, svolto in maniera costante nel tempo, è una attività che offre moltissimi vantaggi. Le finalità del controllo possono essere molteplici.

È possibile, infatti, verificare il comportamento del costruito e la sua congruenza rispetto ai modelli teorici adottati in fase di realizzazione delle opere. Oppure, impostare sistemi di allerta per anomalie insorgenti in fase di esercizio, o ancora, completare una diagnosi in fase di studio del costruito.

In un’ottica prestazionale dei requisiti delle opere è fondamentale che avvenga un costante controllo del loro decadimento fisiologico. Bisogna però rimarcare che a dispetto del fascino che le tecniche di monitoraggio strutturale esercitano su noi tecnici e delle rassicurazioni che l’impiego di tali tecniche offrono alla cittadinanza, monitorare un’opera in termini di utilità dei dati vuol dire sicuramente molto. Ma se il processo non è sapientemente concepito e calibrato, potrebbe anche tradursi in nulla di fatto.

Il primo aspetto da affrontare è l’individuazione degli elementi nevralgici del sistema strutturale in modo da orientare il controllo. E scegliere anche se limitarlo ad effetti  locali o se estenderlo al sistema nella sua globalità.

Un controllo strutturale di tipo diffuso non solo ad oggi non è possibile, salvo alcune applicazioni limitate ad impieghi sperimentali e in fase di ricerca. Ma con l’uso delle tecniche disponibili non sarebbe neanche economicamente sostenibile. In realtà la sostenibilità economica dei monitoraggi, pur meritando una approfondita analisi è un aspetto ancora non adeguatamente trattato. In quanto il tema dei controlli non è inserito in modo organico nel complesso processo ideazione-realizzazione dell’opera.

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Endoscopia in cavo di precompressione non iniettato

La progettazione di un corretto piano di monitoraggio di un’infrastruttura deve mirare innanzitutto a limitare il numero di punti di controllo concentrandoli sulle zone maggiormente rappresentative del comportamento strutturale.

Individuare i parametri vitali di un’opera presuppone una accurata conoscenza dell’opera stessa. Cosa che, soprattutto nel caso delle strutture esistenti, è molto complessa. L’approccio degli studi attuali è più confacente alle opere di nuova progettazione. Opere per le quali si tende ad implementare modelli di calcolo sempre più articolati e ad affinare algoritmi di analisi grazie anche alla disponibilità di un impegno computazionale sempre più elevato.

Non si sono sviluppati invece sistemi altrettanto affinati per “dedurre” in modo accurato il comportamento delle costruzioni esistenti. Probabilmente siamo anche ingabbiati nel processo logico (ed anche normativo, altra parentesi meritevole di valutazioni accurate) che è proprio della nuova progettazione. Ovvero, imputiamo il modello sul quale conduciamo il nostro studio e, al più, lo calibriamo su dati osservazionali.

Nell’analisi del costruito, invece, il processo logico dovrebbe essere completamente invertito: dovremmo “derivare” il nostro modello dall’osservazione sperimentale dall’esistente. Ciò non avviene, nonostante disponiamo di adeguate tecnologie di base, e nonostante potremmo prendere in prestito da altri ambiti (uno per tutti la diagnostica sanitaria) dove vi sono applicazioni più sofisticate che nelle costruzioni. Fin tanto che non saremo in grado di utilizzare i dati dedotti da misure sperimentali di tipo diffuso per derivarne fedeli modelli dell’esistente, i modelli strutturali schematici sono la base su cui progettare qualunque piano di monitoraggio di un’infrastruttura.

Occorre individuare preliminarmente quali sono gli obiettivi del controllo che si intende attuare e quali le zone di maggior “sensibilità”. Questo per evitare di concentrarsi su zone “spente” della struttura con l’illusione di averne anche un dominio. Ciò è molto complesso e lo è in misura maggiore nelle strutture interagenti con gli elementi di completamento generalmente molto rigidi e poco resistenti.  Però, se da un lato monitorare in modo efficace un’opera esistente è possibile solo se la si è compresa bene e se su di essa sono stati condotti adeguati studi di diagnosi i quali ci consentono di “pesare” correttamente i dati rilevati, su una struttura di nuova realizzazione l’approccio potrebbe rivelarsi più snello. I dati dei controlli che si avviano già in fase di esercizio ci consentono infatti di interpretarli volta per volta in funzione del loro collocamento rispetto alle curve di decadimento dell’opera.

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È del tutto evidente che medesime misure di avanzamento di un degrado o di una anomalia non hanno lo stesso significato se corrispondenti a differenti spazi riportati in figura, in quanto agirebbero in differenti condizioni di salute del manufatto. Ciò dovrebbe sempre indurre a fissare su ogni opera di nuova realizzazione indicatori del suo stato di conservazione, in modo da disporre di opportuni parametri di confronto con il tempo di zero della messa in esercizio.

Questa riflessione apre ad un tema dibattuto ma estremamente importante: l’importanza del piano di manutenzione di un’opera ed il monitoraggio. Quale correlazione sussiste?

Anche se con finalità differenti, manutenzione e monitoraggio sono aspetti strettamente correlati tra loro per i motivi già detti.

Quando disponiamo dei dati di monitoraggio di un’infrastruttura esistente il  problema è comprendere qual è il significato delle variazioni dei parametri che controlliamo.

In genere i ponti sono caratterizzati dall’avere comportamenti statici facilmente deducibili, dato che tutti gli elementi componenti hanno funzione strutturale. Salvo poi verificare differenti schemi statici per modifiche o insorgenza di nuovi vincoli dovuti ai motivi più vari. Lo stesso non vale per le altre tipologie edilizie, dove gli elementi di completamento delle strutture ne modificano la statica anche in assenza di anomalie.

Degrado sistema appoggio-trave viadotto

Se disponiamo di misure degli spostamenti in un elemento strutturale di un viadotto o di un edificio, dovremmo capire cosa questi dati significano ai fini della composizione di un quadro diagnostico. Non è quasi mai l’entità dello spostamento il dato di interesse ma cosa questo segnali.

Inoltre non necessariamente sono gli elementi strutturali a fornirci le informazioni più importanti. Il più delle volte sono molto più significative le letture svolte sugli elementi non strutturali. Quest’ultimi, per la notevole rigidezza e per la bassa resistenza, fungono da buone sentinelle di un problema in atto.

È per questo motivo che il programma dei controlli previsto dal piano di manutenzione delle opere è probabilmente lo strumento più adatto a scongiurare danni prematuri ai nostri manufatti. Esso ci consente di intervenire prima che la fase del danno sia avanzata evitando di esporci a costi e rischi più elevati.

Peccato che l’attuazione del programma dei controlli sia un provvedimento normativo ancora troppo disatteso, soprattutto nella gestione del patrimonio edilizio privato.
Inoltre, sebbene le carenze che registriamo oggi non sono tanto nella qualità dei controlli quanto nella sporadicità degli stessi, disponiamo anche di tantissima tecnologia per poter svolgere controlli molto più spinti di quelli attualmente in uso sui nostri manufatti. Dovremo solo comprendere come utilizzare al meglio l’enorme disponibilità di dati che oggi siamo in grado di raccogliere. Ciò consentirebbe di ottimizzare un’ attività cruciale per il destino dell’opera che è appunto l’attuazione del piano di manutenzione. Dovremmo rendere tutti i dati raccolti immediatamente utilizzabili. Invece è come se, per analogia, ogni volta ci impegnassimo ad affinare la sensibilità per la misurazione delle frazioni del grammo in bilance il cui display riporta solo i chili. Un moderno paradosso.

Da qui l’esigenza di una raccolta di informazioni ragionata. In cosa consiste la piattaforma Bim per una manutenzione pianificata che avete realizzato?

La piattaforma si pone l’obiettivo di rendere evidenti le correlazioni tra i vari dati che concorrono a comporre la diagnosi del costruito. Dati sparsi, non correlati ad opportuni parametri di riferimento rischiano solo di intasare banche dati senza offrire un reale vantaggio.  Qualunque processo di controllo per essere efficace e mirato necessita della raccolta di informazioni che devono essere organizzate, sistematiche e complete.

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Il sistema edilizio è un organismo interconnesso e circolare. La banca dati che lo caratterizza è inserita in un sistema complesso che racchiude informazioni legate tra loro da reciproche e mutue influenze. Il medesimo valore di variazione di un parametro strutturale potrebbe avere diversi significati non ugualmente importanti. Se riusciamo a cogliere sempre le mutue correlazioni tra i parametri strutturali e le mutate condizioni al contorno, le nostre diagnosi saranno più celeri e meno incerte.

Una frontiera della ricerca e della sperimentazione è costituita dall’utilizzo di piattaforme di gestione dei dati degli impianti strutturali. Strumenti che si pongono anche come supporto operativo ad una legislazione nazionale che continua a destinare una crescente attenzione al tema della durabilità delle opere, ma che potrebbe indurci a favorire solo gli adempimenti formali. Indirizzandoci quindi su sistemi e procedure di difficile controllo da parte dei professionisti tecnici e dei gestori e, perciò, privi di un significativo vantaggio.

Simili piattaforme oltre ad essere idonee a successive implementazioni sviluppate per molteplici ambiti consentirebbero la gestione di protocolli operativi a completamento delle linee tracciate dai recenti impianti normativi. Potremmo così disporre di moderni ed efficaci Piani di Manutenzione delle Opere, cataloghi dei Livelli di Conoscenza dei manufatti e Fascicoli del Fabbricato di tipo elettronico ed informatizzato.

Chi è Lucia Rosaria Mecca?

Lucia Rosaria Mecca Ingegnere strutturista, titolare dello studio MECCAINGEGNERIA che opera nell’ambito della progettazione e direzione lavori di opere ed infrastrutture realizzate in campo civile ed industriale.

Svolge da anni attività di consulenza specialistica negli ambiti dell’ingegneria geotecnica e strutturale per Professionisti, importanti Società ed Aziende operanti in ambito nazionale ed internazionale e per le quali cura prevalentemente il settore della diagnostica, delle prove, dei monitoraggi e dei controlli non distruttivi.

Relatore in convegni e seminari tecnici è autrice di testi e pubblicazioni per collane e  riviste di settore.


Autore: Sara Frumento